Sono

Sono uomo, ho la pelle bianca, sono italiano, sono della classe media,… Sono molto di più e sono anche quello che non so ancora di essere. Cosa non sono invece? Lo scopro ogni volta che espando la mia bolla. 

Sono cresciuto in un mondo molto diverso da quello in cui ora vivo, un piccolo mondo antico che forse non c’è più. Nuotavo a stile libero nella mia normalità. Attorno a me, un mare apparentemente uniforme. Ignaro delle profondità del mare, potevo anche nuotare a dorso, mentre osservavo le poche nuvole basse che coprivano gli aerei. Quelli diversi da me erano intorno ma altrove: per strada, nelle grandi città, sulle spiagge, nei film, nei parcheggi di un supermercato. I loro volti, le parlate, i vestiti, i cognomi e i nomi li identificavano e increspavano la mia normalità. Provocavano un senso di stupore misto a repulsione. Io e quelli come me li prendevamo in giro. Lo scherno era il modo sommario e involontario per creare o rinforzare le linee della diversità. L’ho fatto anch’io, e l’ho fatto soprattutto stando in silenzio mentre altri lo facevano. È difficile deridere qualcuno senza allontanare e rischiare di far male. Quando lo scherno è un’arma, è facile però che sia a doppio taglio: in un attimo ci si ritrova dalla parte sbagliata e si passa dalla parte di chi deride a quella di chi è deriso.

Nel paese in cui sono cresciuto arrivava periodicamente il circo. Ho pochi ricordi sfumati: i trapezisti, il domatore di leoni, i clown, l’uomo che nuotava con gli squali. Una di quelle volte a strappare i biglietti all’ingresso c’era un nano. Non sapevo che esistessero “persone affette da nanismo”, come potrei dire ora che sono attento a moderare le parole. Mentre mia madre comprava i biglietti mi sono trovato di fronte a una faccia da uomo col corpo da bambino. Ricordo il mio stupore, quello stupore che nasce dalla scoperta dell’impossibile. Per capire meglio mi sono messo a toccare quell’uomo. Lui si è irritato e mi ha allontanato. Più che il mio stupore ricordo bene il suo fastidio. Quando ci ripenso ho sentimenti di tenerezza per il bambino che ero e di compassione per l’uomo che si era trovato di fronte a quel bambino.

Sono uomo, ho la pelle bianca, sono italiano, sono della classe media… Poche volte ricordo di essermi sentito in situazioni di minoranza e d’ingiustizia allo stesso tempo. A volte mi sono trovato in situazioni di minoranza, a volte in situazioni d’ingiustizia ma non allo stesso tempo. Averle provate serve? È una domanda a cui fatico rispondere. Forse delle piccole dosi di sofferenza da esclusione aiutano a diventare più compassionevoli. L’esercizio di cambiare identità – immaginarmi donna, di un altro colore, straniero, straricco o strapovero… – può aiutare. Gli attori lo fanno. Nel fare questo esercizio mi rendo conto di quanta complessità si annida nei dettagli e nelle circostanze, di quanto io penso agli altri in rapporto a me, di quanta confusione ho nel cervello.

L’anno scorso, mentre già vivevo in Giordania, l’Italia è stata uno dei paesi più colpiti dalla pandemia di Covid-19. Sui giornali si parlava molto della mattanza che stava succedendo a casa. Tutti mi parlavano o chiedevano dell’Italia. Dalla Giordania guardavo ciò che succedeva al mio paese natio, sapendo che non era possibile tornare. Un giorno, al centro massaggi dove vado solitamente, ho incontrato il proprietario e ho espresso la mia vicinanza per il fatto che al centro ci fossero pochissimi clienti e che lui stesse perdendo del denaro. As Italian – ho poi aggiunto – I feel simpathy for what you are going through. Appena ha sentito quale fosse la mia nazionalità, mi è sembrato molto spaventato. Ha pure fatto un passo indietro. Nello stesso periodo un paio di colleghi hanno fatto battute dicendomi “si deve stare attenti con te che sei italiano”. Ci sono rimasto male, ma mai quando mi ha fatto star male l’idea che non potessi tornare in Italia e fossi esule. Come vivono questa situazione quelli che, con molta probabilità, non torneranno mai più nella loro patria?

Sono uomo, ho la pelle bianca, sono italiano, sono della classe media… Sento un rumore di fondo ogniqualvolta un gruppo diverso dal mio sostiene che il gruppo cui appartengo – il mio gruppo – lo esclude. Mi sento direttamente accusato, mi sento accusato di cose che non credo di aver mai fatto, di atteggiamenti che non credo di aver mai avuto. Succede perché sono partecipe del meccanismo che perpetua l’esclusione oppure perché gli esclusi me lo fanno pesare? Gli esclusi – loro – cercano giustizia oppure fanno le vittime? Mi aiutano a capire oppure “Igor, che vuoi saperne tu che non fai parte del nostro gruppo”? L’appartenza a una tribù non aiuta a vedere le situazioni con razionalità. Non è facile avere un’identità senza che non pesi sulle spalle di qualcuno, in primis le proprie. 

Mi piacerebbe rivedere alcuni momenti salienti della mia vita e capire come la mia identità si è sviluppata. Ho passato tanto tempo con me stesso: ricordo episodi, sensazioni e sentimenti ma non ricordo bene i miei pensieri. C’erano i giochi per i bimbi e c’erano i giochi per le bimbe, il contrario di “deciso” e “forte” era “frocio”, se sbagliavi eri un “handicappato”, c’erano i “terroni” e i “marocchini”. Esisteva l’ovvio, come la famiglia del Mulino Bianco. Sapevo che da altre parti c’erano normalità molto diverse eppure simili alla mia: la gente s’incontrava, litigava, parlava, ballava, pregava, giocava, si riproduceva, moriva. Lo sapevo. Lo sapevo ma non lo capivo. Non l’ho capito finché non l’ho visto e vissuto per davvero. Mi resta tuttora la sensazione che ci debbano essere delle versioni ortodosse della normalità ma, ogni volta che cerco di definirle, mi sfuggono di mano come un pesce catturato che si rituffa nell’acqua. Quel pesce che scappa mi lascia di sasso e mi ritrovo a osservare i cerchi nell’acqua attraverso le mani vuote.

La prima volta che sono uscito dalla mia bolla per un po’ di tempo è quando sono andato a vivere in Sri Lanka. Vivevo a due passi dal mare, in una casa con una bella terrazza circondata da alberi su cui saltavano con gioia le scimmie. La prima volta che ho deciso di mangiare sulla terrazza mi sono preparato trecento grammi di spaghi alla maniera di Alberto Sordi in Un americano a Roma. Ho messo il piatto sulla tavola e, appena prima di sedermi, ho realizzato che mancava un po’ di grana. Il brevissimo tempo di rientrare in cucina per risolvere quella mancanza insostenibile ed ero di nuovo in terrazza. Con l’acquolina in bocca mi fregavo le mani pensando: “Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno…!” Quello che mi aspettava mi avrebbe lasciato di stucco: le scimmie si erano prese la mia pasta, i trecento grammi erano volati via. Chi ci avrebbe pensato? Con lo stupore che sorpassava la rabbia non ero riuscito ad arrabbiarmi. 

Sono uomo, ho la pelle bianca, sono italiano, sono della classe media,… Altro? Eccome. Ho una buona salute, sono mancino, sono eterosessuale, sono europeo,… Altro ancora? Eccome. Mangio in fretta, penso di pensare troppo, ho paura di perdere i capelli e ho paura del vuoto… Più ci penso più trovo caratteristiche. Altro ancora? Eccome. È tutto così chiaro? Non sempre ne sono sicuro. Più trovo caratteristiche, più mi sembra di non appartenere a nessuna tribù. Più mi conosco, più perdo di vista l’importanza di alcune caratteristiche, fino a quando non arriva qualcuno o qualcosa a ricordarmele.

Due anni fa sono stato nel campo di Al Hol, una tendopoli gigantesca nel nord est della Siria. Ci vivono le famiglie dei foreign fighters arrivate da tutto il mondo con lo scopo di combattere per lo Stato Islamico. Il campo era abitato essenzialmente da donne e bambini, visto che la gran parte degli uomini era stata catturata. Delle donne si vedevano gli occhi, la parte più poderosa del corpo. Sembrava che la forza dei loro occhi avesse tagliato il tessuto nero del niqab. Cercavano di parlarmi in svariati idiomi e io facevo del mio meglio per capire. Occhi scuri, occhi chiari, occhi tristi, occhi speranzosi, occhi arrabbiati, occhi grati, occhi familiari, occhi lontani. Mille domande mi frullavano per la testa in una babilonia di lingue che a tratti mi sembrava di capire: Cosa ci fate qui? Perché non siete altrove? Cosa vi ha portato qui? Che lingua è la tua? Cosa vorrai dirmi tu? E tu invece?Nell’incomprensibilità, costruivo storie nella testa, storie che volevo tanto fossero verosimili.

A volte ho un senso di nostalgia e vergogna per quello che non sono più e per quello che ho – o non ho – fatto. Con serenità ho accettato che cambio pelle ogni giorno e che ci sono cose che non cambierò. Girare sulla punta dell’iceberg sapendo di essere sulla punta mi rasserena più che spaventarmi. Nelle nostre infinite diversità, non sempre ci rendiamo conto che cincischiamo su un puntino irrilevante nello spazio e nel tempo. Allora perché ci gonfiamo il petto? Forse per contrastare questo senso di irrilevanza? Mi piace ripercorrere con la mente lo sviluppo della vita, dai batteri agli animali. E dopo? Chissà come si svilupperà l’Intelligenza Artificiale, chissà che linee ci saranno tra lei e noi, chissà se ci rimpiazzerà. Dopo soli 300 likes, gli algoritmi di facebook possono predire le nostre opinioni più del nostro partner e dei nostri familiari: l’intelligenza artificiale potrà conoscerci più di quanto noi conosciamo quelli che sono diversi da noi. Ma allora mi domando: questa conoscenza le impedirà di prenderci per il culo?

NOTA

La foto di copertina è stata scattata nel deserto di Wadi Rum in Giordania la settimana scorsa. Il dibattito sul Cancel culture e l’escalation del conflitto tra Israele e Palestina sono state alla base di questo post.

igor

8 risposte a "Sono"

  1. ho imparato ad apprezzare la mia bolla proprio quando ne sono uscito.
    Ora ci sto bene: la famiglia, gli amici di una vita, la mia lungua, il mio cibo…..etc.
    Prima sognavo il mondo di John Lennon, ora invece capisco chi teme che il diverso possa cambiare le cose.
    Purtroppo ho capito che la maggior parte delle persone è diffidente per ignoranza ma anche che a pensar male spesso ci si azzecca.
    La divisione in caste, le restrizioni per le donne, la teocrazia… sono mentalità presenti in tanti bravi ragazzi che ho abbracciato mille volte e per cui queste cose sono normali e “naturali”.
    Sono tutte realtà che ho vissuto principalmente dall’altra parte del mondo e vorrei che restassero ben lontane da me e dalla mia bolla….. ma non è così.
    Bellissimo scritto Igor… a presto!

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  2. Mi identifico molto con queste frasi: “Più trovo caratteristiche, più mi sembra di non appartenere a nessuna tribù. Più mi conosco, più perdo di vista l’importanza di alcune caratteristiche, fino a quando non arriva qualcuno o qualcosa a ricordarmele.” Vivo da quindici anni a Barcelona e ho imparato di più sull’Italia e sugli italiani vedendoli da fuori, che non essendo una di loro, dentro.

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  3. Bellissimo….. E qui c’è il dibattito sulla legge Zan per impedire e sanzionare espressioni offensive nei confronti dei diversi. Per impedire e sanzionare l’omofobia. E loro, i bullizzati per l’orientamento sessuale, fanno le vittime o cercano giustizia? Mah. In generale, come nelle assemblee condominiali e in Parlamento, la maggioranza vince. Il punto è : a chi sento di appartenere io? Alla minoranza, sempre. E ovviamente non perché sia nera, povera o omosessuale. Semplicemente perché sono una ribelle. Una scimmia che vede tre etti di spaghetti su una bella terrazza circondata dal verde e li ruba anche se non riuscirà mai a mangiarli tutti. Le tue immagini sono troppo evocative per me, Igor 👏🏻👏🏻👏🏻

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