Carrarmato

Ieri vagavo nel mio hard disk e ho trovato questa storia scritta nel 2002. Qualche anno dopo l’avevo inviata a un concorso letterario, dal quale non avevo ricevuto risposta. Magari è rimasta incrostata anche in altri hard disk.

Nel lontano 2002 il conflitto in Afghanistan era appena cominciato, e io mi informavo moltissimo in merito a quello che stava succedendo. Poi… c’era il conflitto araboisraeliano, la cui straziante e ininterrotta attualità mi ha fatto pensare – stanotte – di riproporvi quel testo. Ho deciso di non cambiarlo, eccetto un po’ di editing e qualche piccolo aggiustamento.

Mi sono chiesto come lo scriverei oggi e cosa scriverei, ma non ho una risposta.


Avrebbe potuto essere diverso. Quante volte si era prefigurato un futuro diverso, quante. La vita era sempre fuggita su un binario imprevisto. Lui che, da civile, non faceva mai del male a nessuno, o meglio non faceva mai nulla a nessuno, da soldato aveva una vita di morti sulla coscienza. Quante volte aveva usato quella cloche, quante volte aveva premuto quel bottone, con l’indifferenza che solo una vita priva di alti e bassi può dare.
  Quante volte ancora l’avrebbe fatto? Gli ordini erano chiari, i rivoltosi andavano fermati, l’anelito di libertà era una malattia da estirpare. Tutto ciò lo portava ancora una volta in quella stretta carlinga, con l’uomoinsensibile di fianco che fumava e rideva fragorosamente raccontando barzellette alle quali lui non prestava attenzione. 
  Il carro armato faceva un rumore assordante, quel carro pesantemente metallico, vecchio, stanco e triste, quel carro che lui guidava con abilità e perizia e che aveva cercato di ingentilire con un peluche sorridente che ondulava al ritmo del terreno, avvicinandosi pericolosamente alla sigaretta dell’uomoinsensibile.
  Perché tutto questo? Perché era giusto, così gli si diceva, perché la giustizia deve essere fatta, perché la giustizia è giusta e perché la pace si deve fare.
  Quante volte? Troppe… Il disagio saliva da tempo. Perché… perché? Chissà cosa pensava il suo compagno, nel quale nonsensibilità e nonsenso si mescolavano… Che fare? La giustizia si doveva fare! Si sarebbero devastati i rifugi dei ribelli, di quei sassi faticosamente diventati case si sarebbe fatto sabbia da aggiungere a quella che il deserto ogni giorno instancabilmente creava.
  E dopo?! Tutti a casa, tutti alle famiglie, con le stesse braccia giuste si sarebbero abbracciate o picchiate le mogli.
  NO! Non poteva essere così. Il carro armato uscì dai ranghi. Cosa succedeva? La mano sicura sulla cloche aveva fatto una mossa inaspettata. Il riso dell’uomoinsensibile divenne d’un tratto silenzio attonito. “Che cazzo fai?” Ringhi in cuffia: “ritornate nei ranghi! Questa è diserzione, o tornate o c’è la corte marziale… Bastardi!” L’uomoinsensibile che diventa d’un tratto sensibile alla paura: “Sei un coglione! Fermati… mi ascolti, bastardo?!… cosa ci faranno, fermati, dannato idiota” Un pugno e l’uomoinsensibile perde i sensi (come se li avesse mai avuti!). Silenzio, se non l’usuale rumore di fondo del caro carro. Un pugno. Come ci era riuscito? Gli faceva male terribilmente la mano – come aveva potuto?! – la sua mano non aveva dato mai pugni né carezze. La violenza era semplice dal carro armato… ma era poi violenza? Si schiacciavano bottoni, si eseguivano ordini, la gente pativa, ma era così lontana e ‘la giustizia andava fatta’. Era violenza?
  SI! Era violenza, non ne poteva più. Accelerò. Il peluche ebbe un sussulto, sarebbe bruciato sulla sigaretta dell’uomoinsensibile se solo questo non giacesse supino. Nella cuffia si sentivano ancora voci irate. Ordini, probabilmente. Staccò la cuffia e accelerò ulteriormente. Ebbe un’improvvisa ed intensissima serenità, quasi entusiasmo. Il sole sembrava dare vita a sfumature di colori che non conosceva o non aveva notato prima.

Il viaggio dura qualche ora, un cielo cobalto poi blu poi nero ed una terra ocra poi rossa poi nera incorniciano la marcia. La meta è un non posto che molto probabilmente era stato vissuto. Ora non è che altra sabbia per il deserto, il mostro che l’uomo alimenta di continuo. Buio, dalle rovine crivellate gronda mestizia e disperazione.
  Apre la botola. Aria fredda e pulita a pungere la faccia, a dare una vitalità di cui aveva perso ogni ricordo. Le gambe gli dolgono. Movimento del corpo indolenzito, ricognizione, attorno nulla, anzi no una luce fioca, quasi una fiammella da dietro un muro. Sobbalzo al cuore, gioia mista a timore. Il freddo comincia a farlo tremare. La sua solita solitudine indifferentemente ignorata gli fa male. Una molla interna ed è là, la gola gli fa male per l’aria copiosa che il suo corpo con affanno cerca. Una donna con un bambino: lei 20forse30forse40anni, lui molti di meno. Il piccolo va da lui, lei dallo spavento per l’ospite non riesce a fermarlo ma ora dice al bambino di scappare. L’uniforme del soldato grida violenza, distruzione, morte; alla donna corrono nella mente i fratelli, quanti ideali, quanta gioia avevano.
  Lui comprende, sente la colpa delle troppe volte in cui ha fatto giustizia. Una lacrima gli corre sulla guancia e cade a terra. Lo stesso fanno le sue ginocchia. Lei gli va incontro, estende il volto contrito in un triste sorriso. “Immagino abbia fame, abbiamo poco, il villaggio è stato bombardato, noi eravamo lontani… disgraziatamente… Cenate con noi, vi prego”.
  Il fuoco scalda il corpo, la compagnia il cuore.  “Possono essere umani anche i ribelli”: questo pensiero lo fa rabbrividire. Come aveva potuto pensare il contrario? Improvvisamente questa consapevolezza gli da la gioia che solo una speranza inaspettata può dare. Il bimbo gioca vivacemente con una pietra, di tanto in tanto gli si arrampica sulle spalle, ridendo. Che bello sarebbe stato avere una famiglia. Chissà il domani cosa porterà, il cielo stellato non può che auspicare qualcosa di migliore. Le palpebre carezzano gli occhi e si chiudono.

Risveglio. Si ritrova solo. Solo. Corre tutto attorno. Solo. Perché? Aveva tanto sperato che i due avessero bisogno di lui. Solo. Perché? Gli era sembrato che avrebbe potuto rimediare. Solo. Questa parola che martella nella testa lo sconvolge. Aveva creduto… aveva pensato… aveva… Corre al carro armato, al suo ventre materno, alla sua corazza, alla sua sicurezza. Dentro c’è la sicurezza. Ma dov’è l’uomo insensibile? La cuffia fa uno strano fruscio. La mette! “Esci da lì, il tuo compagno ci ha comunicato la vostra posizione, sei a tiro, se non ti consegni alla corte marziale è la tua fine” Il carro immediatamente si muove a massima velocità. Coraggio, devi farcela, scappa, troverai qualcuno, il cielo di ieri te l’ha detto… “Fermati, o spariamo”. Dai che ce la faccio, vado verso i monti e poi mi metto in salvo. “Tre…due…uno…”  Luce, fuoco. E poi, il silenzio.


NOTA

Per la foto di copertina, sono andato a riguardare le foto che avevo scattato nello stesso periodo della scrittura del testo. Quella scultura era a casa dei miei genitori, la casa in cui vivevo allora.

igor

4 risposte a "Carrarmato"

  1. Ho sempre pensato che se fossi nata uomo con l’obbligo delle armi, avrei sicuramente disertato. Avrei vissuto da fuggiasco sperando in accoglienza. Mai, in questa vita, impugnerei un’arma per uccidere, piuttosto mi farei uccidere. Ho il dono della Fede (cristiana, nella fattispecie) e… niente, amen, adieu. La donnainsensibile che c’è in me è in modalità difesa, non attacco. Uso solo la corazza che rappresenta , comunque, un bel problema. Ogni corazza lo è…. impedisce alle anime pure di abbracciarti. Ma ci sto lavorando….

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    1. Grazie Elena! È un piacere leggere i tuoi commenti, quelli con corazza, quelli senza corazza… È un piacere sapere che, quando leggi quello che scrivo, poi tu abbia voglia di raccontarmi il tuo punto di vista, le tue riflessioni, i tuoi sentimenti. E le tue corazze…

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